venerdì 22 febbraio 2013

C'è una cosa che secondo me fa di un genitore un buon genitore



Selvaggia Lucarelli
Ieri nei pressi di Milano
C'è una cosa che secondo me fa di un genitore un buon genitore, più di altri gesti e parole magari più ridondanti. Succede quando scopri che tuo figlio è negato, ma proprio innegabilmente negato, facciamo proprio una capra, a fare qualcosa che ti piacerebbe facesse benissimo e che lui è convinto di fare benissimo. Che so, è convinto di essere Michael Jordan, tu sogneresti di applaudirlo alla finale dell'nba, ma la cruda verità è che non riuscirebbe a centrare neanche una piscina con un'arachide. O magari crede di essere l'erede di Mirò, tu lo incoraggi, ma la cruda verità è che disegna da schifo. Ecco. Se in quel momento non provi nessuna smania di farlo smettere, nessuna ansia di cercare il suo certo talento nascosto, se non te ne frega nulla di saperlo primo in qualcosa e di fronte alla sua goffaggine sul campo o al Teomondo Scrofalo nell'album Fabriano, provi solo una grande tenerezza e pensi che gli faccia bene essere ultimo in qualcosa, ecco, secondo me sei un buon genitore. 

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lunedì 18 febbraio 2013

esercitandosi.


se solo tu mi conoscessi sapresti che temo le grandi emozioni. tutte.

se solo tu mi conoscessi sapresti che diffido dal lieto fine pur bramandolo.
se solo tu mi conoscessi sapresti che non sono mai certa di nulla.
se solo tu mi conoscessi sapresti che il tempo non è mai abbastanza. né quello trascorso, né quello a venire.
se solo tu mi conoscessi sapresti che mi occupo degli altri prima ancora che di me stessa.
se solo tu mi conoscessi sapresti che ciò che all'inizio mi entusiasma è anche ciò che più tardi mi spaventa.
se solo tu mi conoscessi sapresti che la mia agenda resta intonsa ma ogni anno la rinnovo.
se solo tu mi conoscessi sapresti che per ogni domanda ho un'infinità di risposte.
se solo tu mi conoscessi sapresti che non amo le sorprese.
se solo tu mi conoscessi sapresti che non sono capace di prendere senza dare.
se solo tu mi conoscessi sapresti che non amo la mia mediocrità.
se solo tu mi conoscessi sapresti che mi sento debole nella mia forza e forte nella mia debolezza.
se solo tu mi conoscessi sapresti che non mi abbandono mai ad un abbraccio.
se solo tu mi conoscessi sapresti che spesso appaio più nitida vista da fuori.
se solo tu mi conoscessi sapresti.
se solo tu mi conoscessi.
se solo tu.
se solo.
se.

domenica 17 febbraio 2013

E visse. Fiaba senza lieto fine. (Temo)

Ci sono storie che ti colpiscono.
Ci sono realtà che ti sorprendono.
Ci sono uomini grandi e anche un po' piccoli.
Ci sono vite segnate dal dolore.


La prima volta che chiacchierai con Oscar Pistorius – il Tg1 l’aveva sostenuto nella sua battaglia per partecipare alle Olimpiadi malgrado l’handicap fisico – mi ringraziò come uno studente beneducato e volle dire «I miei eroi sono Gandhi, Mandela, il mio presidente sudafricano, e James Dean.

Gandhi e Mandela insegnano forza, tenacia e saggezza. Dean lo ammiro perché è “cool”, affascinante». L’ho rivisto l’estate scorsa, alle Olimpiadi di Londra, sogno finalmente realizzato. Per evitare i paparazzi si allenava in periferia, a Twickenham, alberi ombrosi, silenzio, scuole. Sulle protesi al carbonio, marca Flex Foot Cheetahs, Pistorius scattava sudato con il compagno di squadra Ofentse Mogawane. Sulle orecchie, a tappare il mondo, la cuffia del rapper Dr Dre.

Durante una sosta, mentre qualche scolaro gli chiedeva timido l’autografo, lo vidi intento a scrivere sul taccuino, aveva la mania di appuntare ogni dettaglio del giorno, dieta, allenamenti, condizioni meteo, stato di forma. Lo salutai da lontano, si alzò subito cortese, abbracciandomi madido di sudore. Volle mostrarmi il tatuaggio «I do not run like a man running aimlessy», io corro ma non come chi è senza meta, tratto dalla Prima lettera di San Paolo ai Corinzi, 9,26 «Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato».

Ora Oscar Pistorius è stato squalificato. La sparatoria che ha ucciso la sua bellissima ragazza, Reeva Steenkamp, cancella nel sangue della quotidiana violenza del Sud Africa la sua immagine di atleta, promotore dei diritti umani, manager felice del proprio business, modello per tanti sofferenti. «Dopo aver predicato agli altri» attende il processo in galera, la polizia non crede alla sua versione: «Ho scambiato Reeva per un ladro». Troppe pallottole, voci di litigi in casa e quel tweet dolce e tragico della giovane massacrata: «Che asso nella manica avete per il vostro ragazzo a San Valentino?».

Mettiamo sulle spalle dei campioni le nostre ambizioni, frustrazioni, speranze, delusioni. Poi li vediamo saltare sotto l’usura della vita, Maradona con la cocaina e i guai familiari e fiscali, l’asso del ciclismo Armstrong – anche lui a lungo idolatrato per la battaglia contro il cancro - spogliato della gloria dei Tour per la pervicace e arrogante tossicodipendenza al doping, il campione del football americano O.J. Simpson accusato di avere ucciso la moglie e assolto dopo un controverso processo. I calciatori delle scommesse, Marco Pantani morto disperato. La depressione dopo il boato della folla, il libero della Roma e del Milan Agostino Di Bartolomei che si spara con la Smith&Wesson lasciando un messaggio che nessuno ascolterà: «Mi sento chiuso in un buco».
Eleviamo gli sportivi ad eroi del nostro tempo, e se devono superare, come Pistorius, un limite che li fa apparire più deboli di noi, ancor più concediamo ammirazione. Ci vendicano dalla normalità, se ce l’hanno fatta loro, anche noi oltrepasseremo le difficoltà, saremo primi al traguardo sognato.

Dimentichiamo, in questa delega frettolosa, l’angoscia, la pena, la fatica, fisica e morale, che logora uomini e donne dell’Olimpo. Pistorius mormorava: «Leggo le critiche sui vantaggi che mi darebbero le protesi in gara, e mi chiedo: come mai allora, visto che adesso le mie “scarpe” sono legali, non le usano anche gli altri atleti? Sanno i critici cosa voglia dire il bruciore terribile nei moncherini dopo un allungo? M’è capitato di immergerli nel ghiaccio per il dolore», ma al Villaggio Olimpico si parlava del contratto con la Ferrari, del motoscafo, delle moto da cross con cui s’era rotto le costole, delle tigri bianche che aveva comprato, dei soldi degli sponsor.

Ora la corsa che sperava avesse una meta oltre il disordine l’ha portato alla sparatoria nel residence di lusso, al cadavere massacrato di Reeva, nelle foto sulle riviste patinate perfetta compagna di un uomo perfetto. Ma la perfezione che imponiamo ai nostri idoli maschera la nostra imperfezione. In un momento che ora il tribunale del Sud Africa dovrà accertare, e che forse resterà per sempre oscuro, l’atleta olimpico Oscar Pistorius, campione medagliato delle Paralimpiadi che aveva sfidato i «normali» sulle piste di atletica, ha perduto la meta, ha corso come i dissennati da cui San Paolo ci mette in guardia. Il monito era tatuato sulla pelle, non nell’anima. Reeva paga il prezzo della ferocia, donna tenera che nel profilo twitter si definiva «Bambina di Dio». Noi sugli spalti, pronti ad applaudire i gladiatori, ad alzare il pollice felice alle loro imprese, meditiamo oggi prima di calarlo come giudici spietati: non è forse il pollice in su e in giù marchio di elogio e bocciatura su Facebook, la nostra piazza mondiale? Come siamo disumani nel chiedere imprese ad eroi che sono solo umani, non ghigniamo alla loro caduta. Piangiamo Reeva e chiediamo per lei giustizia, aspettando la verità su Pistorius, caduto da stella del firmamento a imputato di omicidio. Meditiamo perché, a San Valentino, la violenza del mito di James Dean ha sopraffatto la saggezza di Nelson Mandela.

Pistorius, il traguardo perduto di un eroe fragile.
Gianni Riotta, La Stampa 15/02/2013

February 14, un-conventional.

pullman di giapponesi
pane alle olive
rosa verde acido a stelo lungo
decimo piano
domande
pic-nic al chiuso
millerighe


candele
riflessi
rosa rossa a stelo lungo
Valentine's card
cioccolatini nascosti
frutti rossi
champagne


arrivo e partenza.

sabato 9 febbraio 2013

Urto.



Come un'onda. Mi ha investita, travolta e abbandonata, lì dove mi ha colto. Lasciandomi con gli occhi bagnati di lacrime a ricordare. Da settembre, da quando un infarto gli ha troncato la vita, passo 9/10 ore tutti i giorni seduta alla mia scrivania a pochi passi da quello che è stato il suo ufficio. Ma quello non mi annienta, mi sono quasi abituata a non sentirne più la voce o a non sentirne più il passo arrivare alle spalle. Purtroppo.

Questa sera però un'occasione totalmente diversa mi ha condotta poco distante da lì e percorrendo lo stesso piazzale dove un paio di anni fa ci eravamo dati appuntamento con un gruppo ristretto e selezionato di colleghi per andare a cena, mi è tornata la sua voce, con quel suo fare distinto, che diceva, "Ci sei anche tu? Bene, che piacere."

Stavo rientrando da una giornata molto intensa ero serena, lontano con la mente, con il cuore, eppure qualcosa mi ha riportata là a quella sera, forse il pullman parcheggiato nello stesso punto. Forse una luce. Forse un'ombra. Forse un'emozione.

martedì 5 febbraio 2013

Quella strana cosa chiamata AMORE


Già è proprio una strana cosa...che ti fa sognare, fare progetti, carica, dà entusiasmo nella vita, poi, a volte svanisce...come fosse la polverina magica di Trilli.

Ieri mio fratello è stato lasciato dalla sua fidanzata, dopo 8 anni di fidanzamento...e no, lei non è "la stronza puttana che, come si permette, fa soffrire mio fratello!"...io con lei mi sono messa a piangere via chat perché io so e tutti quelli che li conoscono sanno, quanto lei lo amasse, forse "pure troppo" a volte ho pensato.

All'inizio, erano piccoli, 19 anni lei e 20 anni lui, lei era succube, pendeva letteralmente dalle labbra di lui, il suo dio...e io non condividevo...poi ho imparato a conoscere il loro modo di amarsi. E chi ero io per giudicarlo? L'amore è così è una cosa unica tra due persone, è personalissima, quel che conta è che entrambi siano felici...e loro lo erano, tanto.

Il loro modo di amarsi era che lei seguiva quel che lui le diceva e lui pensava ad entrambi, al bene di entrambi. Certo, erano giovani, poi, come ogni rapporto sarebbero cresciuti nel loro rapporto riuscendo ad essere ognuno autosufficiente ma indispensabile all'altro, pensavo.

Poco prima di capodanno abbiamo pranzato insieme, lei gli rispondeva, diceva la sua e io ho pensato: "oh, ecco, sono maturati, finalmente sono pronti per quello che vogliono andare a fare, vivere insieme"...invece ieri sera ho capito che probabilmente lì lei già non lo amava più e credo che neppure lei se ne rendesse bene conto ancora.

Perché quella strana cosa chiamata AMORE non è vero che non può nascere in giovane età e seguirti per tutta la vita. E' così, l'amore è quella strana cosa che cresce e matura nel rapporto a due in cui i progetti sono condivisi, le aspettative di vita, lo sguardo verso le cose è volto nella stessa direzione.

A volte non è così e due cuori crescono in modo discorde e su questo la ragione non può nulla perché non ci si può costringere ad amare chi il nostro cuore ad un certo punto non è più disposto ad accettare e sente lontano dalle sue aspettative.

Allora io mi sento ti ammirare la maturità di mio fratello e della sua ex-fidanzata, perché hanno rispettato il loro amore fino alla fine e nel rispetto reciproco hanno deciso di conservare quello che di meraviglioso è stato nella loro vita.

domenica 3 febbraio 2013

ApparenteMente. Sono forte di stomaco.

Ti arriva così, mentre fai altro.
Mentre il corpo si dedica ad altro la mente per conto suo, dissociata, ricorda e rielabora. Forse confronta. Forse affronta. Delibera. Mi piace questo verbo l'ho scelto apposta, per la promessa che contiene.
Stavo stendendo il bucato e onestamente senza alcun preavviso né motivo evidente ho realizzato che quando le cose sono giuste fanno strada da sole. 
Ho sempre sofferto il mal d'auto e di pullman per inciso eppure quando ho fatto spostamenti lunghissimi in macchina con l'uomo che è poi diventato il padre di mio figlio per lui, per il nostro viaggio, per il nostro stare insieme ho letto mappe e cartelli stradali ed è forse l'unico accanto al quale, mentre guidava, sono scivolata nel sonno. Allora mi fidavo di lui.
Quando ho avuto bisogno di ritrovarmi, di sgomberare la mente, rigenerare le forze, sono salpata per mare senza soffrirne cullata dalle onde, lo sguardo perso all'orizzonte, per giorni interi di navigazione.
Quando mi sono scoperta in lieta attesa, a dispetto del racconto e dell'esperienza di tantissime prima di me, non ho avuto nausee, né altri disturbi, nove mesi di quiete, certo il sovraccarico ormonale mi ha fatto piangere ogni lacrima ma la pelle disidratata non è stata fatale a nessuno.
Non ho dovuto far nulla perché ciò accadesse eppure oggi mi accorgo che era proprio così che dovesse andare. Credo sia stata la mente nella sua complessità ad offrirmi solo la coda del pensiero, non credo siano stati il colore delle mollette o la fantasia dei calzini che stendevo ad aprire il ponte con il passato.
Stavo assimilando qualcosa. Assaporavo.